Criticità dell'Ipertermia Maligna (prima parte)
- V. Tegazzin
- 22 nov 2017
- Tempo di lettura: 11 min
Introduzione e cenni storici
Il titolo "Malignant hyperthermia: nightmare for anesthesiologists and patients" (Medical News, February 14, 1986)" ci fa capire quanto questa sindrome farmaco-genetica, che interessa il muscolo scheletrico, sia insidiosa, pericolosa e di difficile diagnosi. Insidiosa perché alberga in individui sani e spesso sportivi quindi ritenuti ASA 1. Pericolosa perché si può manifestare all'induzione dell'anestesia con uso di gas alogenati e succinilcolina con immediato spasmo dei masseteri. Di difficile diagnosi perché alcuni iniziali segni clinici quali tachicardia e aumento dell'ETCO2 o tardivi quali aumento della CKemia, acidosi, febbre ecc. possono avere altre cause.
Già nel 1900 su JAMA furono riportate alcune segnalazioni di "heart-stroke as a postoperative complication" pervenute all'Accademia di Medicina di New York e anche negli anni successivi continuarono a essere pubblicate analoghe segnalazioni. Nel 1929 Ombredanne descrisse una sindrome caratterizzata da ipertermia e pallore postanestesia, nel bambino, ad alta mortalità, cui sarà dato il suo eponimo (sindrome di Ombredan ne) e Guedel riportò nel suo testo di anestesia, personali osservazioni di
ipertermia postoperatoria a seguito di anestesia eterea. Il primo caso nel quale fu riconosciuto il carattere genetico dell'IM venne pubblicato nel luglio del 1960 su Lancet da autori australiani (Denborough e Lovell) e successivamente descritto, con ancora maggiori particolari dallo stesso Denborough nel 1962.
Gli autori descrissero una crisi di IM in un giovane di 21 anni, sottoposto ad anestesia generale dal dott. Willers per una frattura di un arto inferiore, nella cui famiglia si erano precedentemente verificati 10 casi di morte durante o subito dopo anestesie condotte con etere.
La somministrazione, nel giovane, di un nuovo agente anestetico, l'alotano, non impedì il verificarsi di una crisi di IM, trattata con successo, e indusse gli autori a studiare la famiglia. Il merito degli studiosi australiani fu quello di mettere in evidenza la familiarità della sindrome, rilevandone l'origine genetica e ipotizzando una trasmissione autosomica dominante a penetranza incompleta. La sindrome acquistò improvvisa risonanza nel 1966 per una miriade di osservazioni di casi verificatisi per l'utilizzo di alotano e succinilcolina, soprattutto in Canada e nel Wisconsin, USA.
In quegli anni ci fu il primo convegno dedicato a questa patologia, i cui Atti furono pubblicati sul Canadian Anaesthetists Society Journal, accompagnati da un Editoriale nel quale per la prima volta fu utilizzato il termine malignant hyperpyrexia con specifico riferimento all'evoluzione, quasi sempre fatale. Negli anni successivi venne definito meglio il carattere ereditario della sindrome, di cui fu confermata la trasmissione verticale autosomica (non legata al sesso) dominante (presente in generazioni successive), ed espressività variabile (differente modo di presentazione interfamiliare, ma relativa costanza intrafamiliare).
Negli stessi anni, sul piano sperimentale, fu descritta l'IM nel maiale, con un quadro del tutto sovrapponibile a quello descritto nell'uomo e fu accettata l'ipotesi che la "pork stress syndrome" con il 100% di mortalità, ben nota agli allevatori di tutto il mondo, altro non è che una forma di IM. Il maiale divenne animale da esperimento, dimostrandosi un modello eccellente di studio e sperimentazione anche per l'IM umana. Questo consentì di focalizzare l'attenzione dei ricercatori sul muscolo scheletrico quale fattore eziopatogenetico principale e nel 1971, durante il primo Simposio Internazionale dedicato alla sindrome, che si tenne a Toronto, ON, Canada fu definitivamente accettata la teoria patogenetica di un alterato trasporto del calcio entro la fibrocellula muscolare, dovuto a un difetto di membrana che coinvolge il reticolo sarcoplasmatico (RS).
Nel 1970 Kalow e Britt dimostravano che il muscolo di maiali MH suscettibili reagivano in modo anormale alla caffeina. Da questa acquisizione fondamentale nascerà un altro importante risultato della ricerca: l'introduzione, da parte di Kalow nel 1970 ed Ellis nel 1971 di un test specifico per l'identificazione della suscettibilità alla sindrome, cioè la biopsia muscolare con test di stimolazione ad alotano e caffeina standardizzato in Europa nel 1984 e negli Stati Uniti nel 1989 6, 7. Tale test in vitro ha consentito non solo di individuare soggetti suscettibili non incorsi in una crisi di IM ma anche, studiando i muscoli dei soggetti e meglio gli aspetti eziopatogenetici e fisiopatologici della sindrome.
Nel 1968 venne pubblicato in Italia il primo caso di una reazione IM fulminante in un ragazzo di 16 anni deceduto nel 1964, presso l'ospedale di Treviso, a seguito di intervento ortopedico per lesioni riportate a una mano da scoppio di una bomba. La descrizione del caso è importante perché l'anestesista riporta l'ipercatabolismo osservato nel paziente con aumento dell'ETCO2, tachicardia, tachiaritmia, aumento della temperatura e rigidità 5. All'inizio degli anni '90, dopo la ricostruzione della mappa del recettore ryanodinico (RYR1), cioè dello specifico canale responsabile del rilascio del Ca2+dal RS dalla fibrocellula muscolare scheletrica, è stato documentato che la condizione di suscettibilità del suino è riconducibile a una mutazione della proteina recettoriale RYR1 per sostituzione nella sequenza nucleotidica del cDNA di (citosina - timina1848) e conseguente sostituzione aminoacidica (arginina 615-cisteina) (pig mutation). Anche nell'uomo è stata dimostrata una mutazione analoga nel recettore RYR1, con sostituzione nucleotidica di (citosina - timina1840)e aminoacidica (arginina614 - cisteina) ma, diversamente dal suino, la sindrome si è dimostrata geneticamente eterogenea, poiché diversi difetti genici concorrono all'alterazione delle membrane che regolano la concentrazione del calcio nella fibrocellula muscolare striata.
Sotto il profilo clinico, l'introduzione in commercio nel 1980 del dantrolene sodico iniettabile, già sperimentato nell'animale fin dal 1975 da Harrison, ha consentito una drammatica riduzione della mortalità, che è passata dal 70-80% degli anni '70 al 5-7% attuale. Un importante contributo a questa caduta della mortalità è sicuramente venuto, oltre che dalle migliorate conoscenze sulla affezione, dal riconoscimento che il monitoraggio intraoperatorio continuo della ETCO2, spia di un possibile ipercatabolismo, consente l'immediato riconoscimento dell'innescarsi della crisi con conseguente più tempestivo inizio del trattamento.
Aspetti etiopatogenetici, fisiopatologici e molecolari
Per comprendere i meccanismi che sottendono la crisi di IM è opportuno un breve cenno al processo di accoppiamento eccitazione-contrazione. È noto che l'acetilcolina (Ach) liberata dalle vescicole sinaptiche, legandosi ai recettori nicotinici colinergici, induce la depolarizzazione della membrana postsinaptica. Quando il potenziale postsinaptico raggiunge il valore soglia, vengono attivati i canali del Na+ voltaggio-dipendenti, e il potenziale d'azione viene propagato all'interno del muscolo attraverso il sistema dei tubuli trasversi. L'acetilcolinesterasi presente nello spazio intersinaptico produce una rapida scissione della Ach; questa rapida rimozione rimette l'unità motoria in condizione di ricevere un successivo stimolo in pochi millisecondi.
All'interno del tubulo trasverso (TT) sono presenti canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti, (L-type calcium channel, Cav1.1) denominati recettori diidropiridinici (DHPR), raggruppati in tetradi, situati in prossimità delle cisterne terminali del reticolo
sarcoplasmatico (RS). La subunità a del recettore DHPR si comporta come un sensore di voltaggio; percepisce la depolarizzazione e va incontro a una modificazione di conformazione. Il recettore DHPR in pratica collega funzionalmente il TT al RS nel quale sono collocati i canali per il rilascio del Ca2+ denominati recettori ryanodinici (RYR). Si ipotizza che un legame fisico fra i due canali costituisca il mezzo di trasmissione del segnale che induce il rilascio dal RS del Ca2+ necessario per attivare il meccanismo di contrazione.
Dopo lo stimolo iniziale il meccanismo del rilascio di Ca2+ calcio-indotto gioca un ruolo importante, nella attivazione del RYR1, sia per quanto riguarda le caratteristiche temporali che quantitative. Il Ca2+ libero all'interno della fibrocellula muscolare, si innalza da 10-7 M a circa 5x10-5M. Questo incremento del Ca2+ ionizzato attiva la troponina dando inizio alla contrazione. Un meccanismo di pompa intracellulare ATP-dipendente rimuove rapidamente il Ca2+ ritrasferendolo nel RS; la calsequestrina all'interno del RS lega il Ca2+ e ne determina l'accumulo. La [Ca2+] citoplasmatica è riportata alla concentrazione molare di base entro 30 ms. La rapida rimozione del calcio dal sarcoplasma è essenziale per il rilassamento del muscolo e richiede una rapida cessazione del rilascio dal RS. I processi di estrusione extracellulare e il re-uptake del Ca2+ nel RS richiedono adenosin-trifosfato (ATP) cioè sono processi che consumano energia.
Patogenesi dell'IM
Dati clinici e laboratoristici sia nell'uomo che nel maiale hanno dimostrato una difettosa regolazione del rilascio del Ca2+ intracellulare nei soggetti suscettibili. In questi soggetti la [Ca2+] all'interno della fibrocellula a riposo è pari a 0,4-0,5 µM mentre normalmente non supera il valore di 0,1 µM e tale alterata concentrazione è dovuta a difetti nel sistema di trasporto dello ione sostenuti principalmente da una alterata funzione del RYR1 dovuta a mutazioni genetiche. Il Ca2+ è in grado di influenzare l'apertura e la chiusura del suo canale RYR1 tramite un meccanismo noto come "rilascio di Ca2+-calcio indotto" (Ca2+induced Ca2+release).
Studi condotti su vescicole di RS isolato hanno evidenziato sul canale del Ca2+ due tipi di siti regolatori, uno ad alta ed uno a bassa affinità per lo ione Ca2+. L'attivazione del canale sembra coinvolga i siti ad alta affinità, mentre la sua inattivazione è regolata dai siti a bassa affinità. Il meccanismo del rilascio del Ca2+-calcio indotto segue una curva a campana: l'attivazione massimale del rilascio dello ione avviene per concentrazioni fra 5 e 10 µM di Ca2+ mentre per concentrazioni submicromolari e millimolari i canali restano prevalentemente chiusi e la velocità di rilascio del Ca2+ delle vescicole rimane bassa.
La regolazione dell'attività del recettore ryanodinico da parte del Ca2+ è influenzata anche dall'interazione del recettore con una proteina di 12Kda (FKBP12) che ha la capacità di stabilizzare la conformazione del canale e le sue proprietà di conduttanza, che a sua volta viene inibita da una proteina immunosoppresiva (FK506). Un deficit di FKBP12 esita, in presenza di un attivatore del canale, in una maggiore probabilità di apertura e in un prolungamento del tempo di rilascio del Ca2+. Nell'attivazione del canale da parte del Ca2+ stesso, un deficit della proteina fa sì che il recettore ryanodinico venga attivato a concentrazioni più basse. Dai molti studi effettuati per chiarire il meccanismo dell'alterato rilascio del Ca2+ nella IM è risultato che nel soggetto suscettibile la velocità di rilascio sarebbe 2-3 volte superiore rispetto al soggetto normale. Ciò può essere imputato sia ad un aumento di densità del canale, sia ad una aumentata sensibilità della proteina al Ca2+. Lo ione Mg2+ sembra avere la stessa efficacia del Ca2+ nel bloccare l'attività del canale.
L'affinità del Mg2+ per il sito di inibizione ryanodinico è controllata dai recettori transmembrana dei tubuli trasversi, ossia dai recettori diidropiridinici voltaggio-sensibili. La depolarizzazione dei tubuli trasversi causa l'apertura del canale del recettori transmembrana dei tubuli trasversi, ossia dai recettori diidropiridinici voltaggio-sensibili. La depolarizzazione dei tubuli trasversi causa l'apertura del canale del Ca2+ perché diminuisce l'affinità del canale per il Mg2+. Al Mg2+ è attribuita anche la capacità di modificare la sensibilità del canale agli ioni Ca2+ e di diminuire l'affinità del Ca2+ stesso per il sito di attivazione del recettore.
Infatti, la liberazione di Ca2+-Calcio indotto avviene a concentrazioni ioniche inferiori in assenza di Mg2+. Un ruolo significativo nell'influenzare la regolazione fisiologica del canale del calcio è giocato da una proteina denominata calmodulina.
Essa interagisce direttamente con il RYR1 con un legame stechiometrico di 2-3 molecole di calmodulina ogni subunità del RYR1. I siti a più alta affinità per la calmodulina sono localizzati nella regione del piede del RYR1. Questa proteina può agire sia da attivatrice che da inibitrice del canale ryanodinico, a seconda della concentrazione di Ca2+ presente nel muscolo scheletrico. La calmodulina favorisce l'attivazione del canale, con un meccanismo indipendente dalle kinasi, a basse [Ca2+] citoplasmatico, mentre inibisce l'attività del recettore a concentrazioni da 10 a 100 µM. L'effetto di attivazione della calmodulina è due-tre volte più marcato su recettori ryanodinici isolati da muscoli di soggetti suscettibili alla IM, ed è questa ipersensibilità del recettore che causa un rilascio abnorme di Ca2+ dal RS. Concludendo fra i fattori in grado di modulare il flusso di calcio attraverso il canale ryanodinico vanno ricordati l'ATP, il Ca++ stesso, il Mg++, la calmodulina, la proteina FKBP12, la triadina, la sequestrina. L'attività del RYR1, può essere inoltre modulata da sostanze esterne quali caffeina, ryanodina, dantrolene.
Un altro meccanismo che partecipa alla regolazione del calcio2+ nel sarcoplasma è l'inositolo-1,4,5-trifosfato (IP3) che agisce sul recettore dell'IP3 (InsRs) (localizzato sull'Endoplasmic Reticulum) anch'esso modulato dalla calmodulina, Mg2+ e dal calcio stesso. Una delle funzioni principali del RS è il recupero del Ca2+ durante le fasi di rilascio muscolare. Deputata a questa funzione è una pompa Ca2+ ATPasi che lavora contro gradiente di concentrazione e sfrutta l'ATP come fonte di energia. Per ogni mole di ATP idrolizzata, la pompa è in grado di riportare nel RS due moli di Ca2+.
Il ruolo di questa pompa nella genesi della IM non è ancora del tutto precisato: alcuni autori segnalano una riduzione della sua attività, altri non evidenziano significative modificazioni delle proprietà cinetiche dell'enzima.

Fisiopatologia della crisi acuta
L'alterazione dei meccanismi che mantengono l'omeostasi del Ca2+ all'interno della fibrocellula muscolare, costituisce la base della catena di eventi patologici che si verificano quando il soggetto suscettibile viene a contatto con una sostanza scatenante.
L'aumento del Ca2+ intracellulare fa aumentare le richieste di energia per ristabilire l'omeostasi di questo ione determinando un incremento drammatico del metabolismo cellulare. All'inizio del processo, la cellula tenta di riportare il Ca2+ alla sua concentrazione normale con un massiccio utilizzo di ATP e fosfocreatina.
Ne deriva da una parte produzione di calore e CO2 e dall'altra la formazione di idrogenioni (H+) e fosfati inorganici. Il consumo di ATP determina rallentamento del reuptake del Ca2+, meccanismo ATP dipendente, e di conseguenza l'impossibilità del muscolo di rilasciarsi con conseguente comparsa di contrattura muscolare. L'abnorme consumo della principale fonte energetica della cellula manda in sofferenza tutti i meccanismi endocellulari produttori di energia. L'alterazione della permeabilità di membrana che ne deriva provoca la fuoriuscita dalla fibrocellula di H+, Mg2+, K+, fosfati inorganici, creatinkinasi (CK) e mioglobina con conseguente acidosi metabolica, iperkaliemia, ipermagnesiemia, rabdomiolisi, iperfosforemia. La diminuzione dei fosfati endocellulari pregiudica la fosforilazione ossidativa e determina il passaggio al metabolismo anaerobio, con abnorme produzione di lattati e acidosi che provoca una ulteriore sofferenza dei processi energetici, instaurando un circolo vizioso che si automantiene.
Quando la concentrazione di ATP scende al di sotto della metà del suo valore normale a riposo, il processo diventa irreversibile. L'acidosi metabolica extracellulare determina una stimolazione del sistema adrenergico con comparsa di tachicardia, aritmie, ipertensione, vasocostrizione. Quest'ultima, a sua volta, peggiora le condizioni del metabolismo cellulare. È quindi evidente che partendo dall'iniziale incremento del Ca2+ libero intracellulare, durante la crisi di IM si verifica tutta una serie di eventi che interagiscono fra loro nel peggiorare la condizione del paziente. Poiché il processo tende ad automantenersi solo un precoce intervento che lo interrompa può salvare il soggetto.
Anche il trattamento specifico con dantrolene, infatti, diventa inefficace quando la cellula ha consumato tutto l'ATP. Da questo si deduce che questa sindrome è insidiosa e il pronto riconoscimento, determinato da un'attenta monitorizzazione del paziente, è il primo step per iniziare la terapia. Il secondo step, legato alla criticità della reazione ipertermica maligna, è rappresentato dai tempi che necessitano per infondere il dantrolene che necessita di una preparazione (almeno 20 minuti per sciogliere la polvere con l'acqua e con l'aiuto di personale) da cui si deduce che la pronta disponibilità in Ospedale del preparato è condizione essenziale per stroncare la reazione ipertermica e salvare i pazienti. Ogni sala operatoria deve disporre di soluzioni fredde da infondere per abbassare la temperatura.
Genetica dell'IM
Il gene RYR1 è mappato sul cromosoma 19 nella regione q12-13.2 (locus MHS1) ed è costituito da 106 esoni; la sua grandezza e complessità costituiscono un ostacolo per l'esatta e completa identificazione di tutte le mutazioni nei soggetti suscettibili. Nonostante questo ad oggi sono state identificate circa 300 mutazioni puntiformi, nella regione codificante il RYR1 e associate al fenotipo MHS1. Tra queste mutazioni, 31 sono dimostrate essere "causative" attraverso studi funzionali. Il maggior numero di mutazioni del recettore ryanodinico, finora note, è localizzato in tre hot spot: una parte N-terminale tra gli aminoacidi 35- 614 (esoni 2-17); una parte centrale dentro la membrana del RS tra gli aminoacidi 2163-2458 (esoni 39-46) e una parte C- terminale transmembrana tra gli aminoacidi 4643-4898 (esoni 90-104). Questi tre raggruppamenti identificano tre regioni MH/CCD (MH domain 1-2) e CCD/MH (domain 3).
Le mutazioni nel terzo dominio (domain 3) sono spesso presenti in pazienti con "Central Core Disease" CCD (sia MHS che MHN) e questo dimostra la stretta associazione fra l'IM e questa malattia neuromuscolare. Gli studi di associazione fra l'IM e il locus MHS1 individuato sul cromosoma 19 hanno tuttavia definito che solo nel 60% delle famiglie ipertermiche la malattia è associata al gene RYR1 anche se in un recente lavoro, pubblicato su Human Mutation (Aprile 2006) su 50 pazienti MHS studiati a Padova e Siena, 86% presentavano mutazioni sul recettore RYR1 9. Altri loci associati alla IM sono stati individuati sui cromosomi: 17q11-24 (MHS2), 7q21- 22 (MHS3), 3q13.1 (MHS4) 1q32 (MHS5), 5p (MHS6).
Non tutti i geni sono già identificati: quelli individuati sono il gene CACNA1S (cromosoma 1q) che codifica la sub unità a1 del canale del Ca2+ voltaggio-sensibile della membrana sarcoplasmatica (recettore della diidropiridina o DHPR), il gene CACNA2D1 (cromosoma 7) che codifica le sub unità a2/d di DHPR e il gene SCN4A (cromosoma 17) che codifica la subunità a del canale del sodio. Il coinvolgimento di questo locus potrebbe spiegare perché le sindromi miotoniche causate da alterazioni del canale di sodio, predispongono alla IM. Nel gene CACNA1S è già stata individuata una mutazione e in questo gene sono state identificate anche le mutazioni responsabili della paralisi periodica ipokaliemica.
I geni coinvolti nei loci MHS4 e MHS6 non sono ancora noti ma la ricerca è in continuo progredire e certamente porterà ad una maggior definizione genetica della affezione L'eterogeneità genetica delle sindrome complica notevolmente la messa a punto di un test genetico di identificazione dei soggetti MHS e questo lascia aperti molti problemi relativi all'identificazione dei soggetti a rischio e vanifica un serio progetto di prevenzione.
Comments